Giornata di studio a cura di: Magnolia Scudieri e Mauro Matteini
Data evento: Giovedì 17 maggio 2018, dalle 09.30 alle 13.30
Luogo: Villa Vittoria, Sala Urbani
Coordinatore: Magnolia Scudieri, Mauro Matteini
Programma:
Eike Schmidt – Tra identità urbana e conservazione: uno strappo doloroso
Antonio Paolucci – L’importanza dell’opera e le decisioni assunte nel 2002: un approccio innovativo
Cristina Acidini – Decisioni comunque difficili: ricerca, lavoro, attesa
Alberto Casciani – Il restauro del 2001
Mauro Matteini – Decisione e inquadramento del Progetto di Monitoraggio
Piero Tiano – Il ruolo del Coordinatore Tecnico Scientifico
Mauro Matteini – Il monitoraggio del gruppo marmoreo: difficoltà, sorprese, valenza come modello operativo
Cristina Improta – All’interno? all’esterno?
Magnolia Scudieri – Le ragioni per tornare a parlare del Ratto delle Sabine
Relatori: Cristina Acidini, Alberto Casciani, Cristina Improta, Mauro Matteini, Antonio Paolucci, Piero Tiano, Eike Schmidt, Magnolia Scudieri
Abstract:
Il futuro del Ratto delle Sabine è stato oggetto di discussione già due volte al Salone dell’Arte e del Restauro di Firenze: nel 2009 e nel 2014, con reportage di quanto emergeva dal monitoraggio in corso sui possibili protettivi da applicare, le valutazioni, una tavola rotonda.
L’informazione condivisa su quanto si stava mettendo in atto, in termini di ottimizzazione dei protocolli, interpretazione delle misure, oggettivazione del confronto tra i vari trattamenti, per trovare la risposta più idonea alle necessità conservative di questo capolavoro ci è sempre sembrato un arricchimento importante, estensibile alle problematiche condivise dalla maggioranza dei manufatti lapidei esposti all’aperto. Un arricchimento che travalicava il confine di questo straordinario gruppo scultoreo.
Infatti, illustrare nell’ambito di un convegno l’operazione che si conduceva su un’opera di tale importanza era ed è un’occasione da non perdere per valorizzare le potenzialità conoscitive emerse dalle operazioni di monitoraggio, ivi comprese le mancate risposte, e di stimolarne la diffusione per quanto possibile.
Ora, nel 2018, nella cornice del Salone, si è ritenuto doveroso e utile tornare ancora una volta sul Ratto delle Sabine e sul suo futuro. La Giornata di studio è nata da un grido di dolore. Ripercorrere il passato, significa riportare l’attenzione sulla necessità di provvedere al suo futuro senza attendere più. Riconsiderare le fasi di questo accidentato, ma innovativo percorso alla ricerca di un futuro sostenibile non sarà sterile, nella speranza, viva, che il grido di dolore trovi risposta nelle parole di Eike Schmidt, colui che del futuro di questo capolavoro ha oggi la responsabilità.
L’anno 2017 si chiudeva senza un nulla di fatto per quanto riguardava il futuro del Ratto delle Sabine. La splendida sagoma attorcigliata e leggera del capolavoro scultoreo del Giambologna si proietta sempre più grigia dalla Loggia dei Lanzi nello spazio di Piazza della Signoria (fig. 1).
Osservando da vicino, la superficie marmorea, oltre che ingrigita, appare fortemente disomogenea, per la differenza di toni tra zone dilavate e zone riparate, segnata dalle colature brunastre e dagli addensamenti dei depositi scuri nelle parti protette.
Con una visione da terra non si è in grado di valutare se e quanto la superficie abbia sofferto, in termini di coesione, in questi ultimi anni, dall’ultima ispezione condotta su ponteggio nel 2013, al termine della seconda campagna di monitoraggio. Già allora erano evidenti i segni di un degrado progressivo provocato dall’esposizione all’aperto che apparivano preoccupanti (Fig.2-3), soprattutto a confronto con la situazione del 2001, a restauro ultimato.
A quell’epoca il gruppo, restaurato da Alberto Casciani grazie al sostegno finanziario dei Friends of Florence, liberato dai pesanti esiti di trent’anni di accumulo di depositi e di formazioni di microflora, aveva recuperato armonia cromatica e leggibilità delle superfici, ma aveva anche mostrato tutta la fragilità del marmo in superficie, ormai irrimediabilmente consunto nelle zone soggette a dilavamento o più esposte all’erosione del vento e delle piogge acide.
La soluzione che avrebbe potuto “congelare” la situazione conservativa del gruppo e impedirne l’ulteriore degrado era una sola : il ricovero all’interno. Soluzione che, tuttavia, non era né scontata né facile data l’importanza dell’opera nel contesto urbano di Piazza della Signoria e stante la complessità tecnica ed economica della sua movimentazione e sostituzione con una copia.
Sulla decisione pesavano, inoltre, i pareri discordi dei due Istituti Centrali – l’OPD e l’ICR – chiamati dal Ministero ad esprimere un parere: favorevole al ricovero all’interno, quello dell’OPD, e al mantenimento in sede con applicazione di un protettivo, quello dell’ l’ICR.
Prima di adire alla decisione del ricovero all’interno, provvida ma radicale, la Soprintendenza fiorentina, nella persona di Antonio Paolucci, decise di verificare se la possibilità di mantenere il gruppo nella sede esterna originaria in condizioni di sicurezza conservativa fosse oggettivamente percorribile. Per questo, serviva testare il comportamento, la durabilità e l’efficacia di alcuni trattamenti protettivi, di tipo polisilossanico, scelti tra quelli allora maggiormente in uso. In pratica, si doveva procedere con un monitoraggio preventivo dei trattamenti che è operazione pilota nella prassi della conservazione.
Nel 2002 fu nominata una Commissione Tecnica per programmare e coordinare il monitoraggio. La Commissione includeva rappresentanti della Soprintendenza, dell’OPD e dell’ICR coadiuvati da due esperti universitari del settore, col coordinamento di Mauro Matteini, allora direttore dell’ICVBC del CNR. Per l’esecuzione dei controlli strumentali delle misure di Monitoraggio fu composto un Gruppo operativo, costituito da specialisti di tecniche analitiche e misure fisiche, appartenenti all’OPD, all’ICR e ad Istituti del CNR, coordinato da Piero Tiano dell’ICVBC/CNR.
Nel 2003 fu dato avvio al programma di monitoraggio incentrato, come si è detto, sulla valutazione dei protettivi. Inizialmente, ne furono identificati due, entrambi suggeriti dall’ICR, da applicare su piccole aree del monumento opportunamente selezionate dal Gruppo operativo. Alle scadenze previste gli specialisti (Fig. 4) eseguivano le misure con l’assistenza costante del restauratore Alberto Casciani.
La campagna si protrasse per cinque anni e si concluse nel 2008, con risultati che lasciarono alla Soprintendenza molti dubbi a motivo di alcuni dati non sufficientemente convincenti per assumere una decisione favorevole all’uso di questi trattamenti. Risultò inoltre evidente che, per avere risposte realmente affidabili, era d’obbligo protrarre il tempo di monitoraggio.
Questa considerazione, congiuntamente al moltiplicarsi di risultati positivi ottenuti in Italia su altri monumenti marmorei esposti all’aperto con l’applicazione di un trattamento di diversa natura, minerale-inorganica, l’ammonio ossalato, indusse ad effettuare una seconda campagna di monitoraggio – condotta tra il 2011 e il 2013 – per verificare anche il comportamento di questo ulteriore trattamento, confrontandolo con quello dei due prodotti polisilossanici.
Questa seconda campagna aggiunse informazioni promettenti, ma di nuovo con alcuni risultati non del tutto rispondenti alle aspettative. Fu, però, almeno possibile escludere la convenienza di impiegare protettivi silossanici a causa dell’alterazione cromatica che essi inducono, per l’impossibilità della loro rimozione con metodi manutentivi, per la perdita progressiva della funzione idrorepellente e altro ancora. I test con l’ammonio ossalato risultarono, per molti aspetti, assai più positivi, ma con un’incertezza non trascurabile: quella di non poter garantire un risultato cromaticamente omogeneo, per l’interferenza di alcune impurezze presenti nel marmo.
Una risposta più circostanziata, in merito, potrebbe venire solo dall’esecuzione di altri test con l’ossalato, da condurre dopo un intervento che contempli la pulitura dell’intera superficie della statua, in pratica dopo un restauro.
Dopodichè non ci possono essere più tempi di attesa per una decisione definitiva.
Questa continuerà, comunque, ad essere difficile, ma indispensabile. Anche se la strada del trattamento con l’ossalato di ammonio dovesse risultare percorribile dal punto di vista cromatico, occorrerebbe comunque prevedere un programma di manutenzione periodica, a intervalli opportuni di tempo, come si è fatto per il vicino bronzo del Perseo di Benvenuto Cellini.
Le soluzioni sono soltanto due. Il Ratto delle Sabine deve essere, comunque, salvato.
Questa è la ragione per cui era importante tornare ancora una volta sulle vicende di questo capolavoro marmoreo e sul suo futuro, anche per sottolineare la complessità sottesa all’assunzione di questo tipo di scelte e l’importanza di affrontarle sulla base di una consapevolezza che solo un approccio scientifico come quello messo in atto con il monitoraggio di quest’opera può essere ottenuta.